SOCIETA’ PAGA MULTA DA 100.000,00 EURO NEL 2024 PER NON AVER EVITATO UN INFORTUNIO GRAVISSIMO SUL LAVORO ACCADUTO NEL 2008

L’art. 25-septies del D.Lgs. n. 231/2001 prevede la responsabilità amministrativa dell’azienda in relazione ai delitti di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Una società leader mondiale nelle tecnologie per la lavorazione di una vasta gamma di materiali (legno, plastica, vetro, pietra, metallo e materiali compositi) con la sentenza n. 4210/2024, che ha dichiarato inammissibile il ricorso per Cassazione, è stata condannata a pagare la somma di euro 100.000,00 per non aver evitato un infortunio sul lavoro di un suo dipendente durante un’operazione di sostituzione di un nastro trasportatore finalizzato a fare confluire materiale per la fusione all’interno di un silos.

 

Il tipo di infortunio sul lavoro

La persona offesa era l’unico dei componenti di una squadra di quattro operai a trovarsi sulla sommità del silos e l’infortunio si era verificato a seguito del transito di una componente del carroponte, alla cui guida si trovava altro appartenente alla squadra, che aveva provocato lo schiacciamento del capo della vittima contro uno spigolo della balaustra. La vittima aveva riportato lesioni gravissime comportanti invalidità permanente del 75%.

 
Condanna dell’azienda al pagamento della somma di euro 100.000,00

 

L’azienda veniva condannata al pagamento della sanzione amministrativa di 200 quote dell’importo di Euro 500,00 ciascuna per un importo complessivo di Euro 100.000,00.

 

Questa sentenza chiarisce una serie di principi che vengono di seguito evidenziati.

 

Quali sono i criteri di imputazione oggettiva utilizzati nella responsabilità delle aziende per reati colposi legati alla violazione della normativa antinfortunistica?

 

La sentenza della Corte di Cassazione, apprezzando la motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Bologna, spiegava come che gli autori del reato avevano consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente costituito dall’evidente risparmio economico connesso alle spese, non effettuate, relative alla formazione professionale dei lavoratori assegnati all’attuazione dell’operazione di manutenzione, alla protocollazione delle procedure manutentive ed alla predisposizione di segnaletica di pericolo; ha, inoltre, rimarcato la decisione, adottata in carenza di valutazione del rischio connesso, di far eseguire l’attività di manutenzione di notte e, dunque, in condizioni di minorata visibilità, e con personale ridotto, in modo più rapido e meno costoso, al fine di recare il minor intralcio possibile all’attività produttiva.

 

 
Cosa rappresentano rispettivamente l'”interesse” e il “vantaggio” nel contesto della condotta dell’azienda?

 

I criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse o dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono:

il primo, ossia l’interesse, quando l’autore del reato abbia violato la regola cautelare con il consapevole intento di ridurre i costi, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento;
il secondo, ossia il vantaggio, quando dalla sistematica violazione sia derivato un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso.

 

Quando si dice che l’autore del reato ha violato la regola cautelare con il consapevole intento di ridurre i costi, cosa significa che il vantaggio non deve essere necessariamente raggiunto?

 

La sentenza chiariva che, con riferimento al criterio oggettivo, il risparmio di spesa avuto di mira non era certo irrisorio, essendo evidente il collegamento esistente tra il risparmio di spesa e la scelta di non intralciare la produzione ed il mancato rispetto delle regole cautelari.

 

 
Quali sono le prove necessarie per dimostrare la presenza di una colpa di organizzazione all’interno dell’Azienda?

 

Grava sull’accusa l’onere di dimostrare l’esistenza e l’accertamento dell’illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa aziendale e che abbia agito nell’interesse di questa.

 

Tale accertata responsabilità si estende “per rimbalzo” dall’individuo all’azienda, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino l’azione dell’uno all’interesse dell’altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo” (cfr. Sez. 6, n. 27735 del 18/02/2010, Scarafia, Rv. 247666).

 

Cosa si intende per “colpa di organizzazione” nell’ambito della responsabilità dell’ente per fatto proprio?

 

La “colpa di organizzazione” dell’ente ha la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, e cioè la violazione “colpevole”, rimproverabile, della regola cautelare. Ciò vuol dire che la mancata adozione e l’inefficace attuazione del modello organizzativo 231/01 e 81/08, è una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall’accusa, mentre l’ente può dare dimostrazione della assenza di tale colpa.

 
Il modello Organizzativo 231 è obbligatorio?

 

Il modello organizzativo 231 non è obbligatorio.

Tuttavia la sua assenza, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione, sebbene non sia di per se elemento costitutivo del reato, ne è un elemento indicativo di non adeguata attenzione dell’azienda al rispetto delle norme cautelari in ottica penale.

Perché vi sia il reato aziendale oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l’azienda (cd. immedesimazione organica “rafforzata”), vi deve essere la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due (Sez.4 n. 18413 del 15/02/2022, Rv.283247 -01).

 

Perché è importante che gli enti mettano in atto accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato?

 

Si è anche precisato che l’azienda risponde per fatto proprio e che – per scongiurare addebiti di responsabilità oggettiva – deve essere verificata una “colpa di organizzazione” dell’ente, dimostrandosi che non sono stati predisposti accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato.

È il riscontro di un tale deficit organizzativo a consentire l’imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo (Sez.4, n. 21704 del 28/03/2023, Rv.284641 -01).

 

Conclusioni sui criteri di attribuzione della responsabilità penale aziendale nel caso specifico

 

In conclusione, la Corte d’appello di Bologna, facendo buon governo dei principi di diritto, ha evidenziato i seguenti elementi comprovanti la responsabilità da reato dell’ente:

il reato presupposto accertato era addebitabile a figure apicali della società, che avevano violato sistematicamente la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente;
risultava la mancata predisposizione ed attuazione degli specifici modelli  organizzativi 231 (ossia previsti agli artt. 6 e 7 del decreto n. 231/2001 e all’art. 30 del d.lgs. n. 81/2008);
emergeva un deficit organizzativo complessivo comportante la mancata predisposizione di accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato dimostrativo della condotta colpevole della società in termini di rimproverabilità e dotato di incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto:
omessa adeguata formazione in maniera stabile dei dipendenti;
assenza di protocolli per interventi di manutenzione complessi e formazione della relativa squadra;
assenza dei divieti di accesso al silos durante lo svolgimento della procedura di manutenzione;
carenza di valutazione del rischio sistemico a livello organizzativo;
violazione delle regole cautelari stabile e permanente.

 

Da tutti gli argomenti esposti deriva la seguente massima:

In tema di responsabilità amministrativa da reato degli enti da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse o dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la regola cautelare con il consapevole intento di ridurre i costi, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora dalla sistematica violazione sia derivato un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso. Rispondendo l’ente per fatto proprio, deve esserne verificata una “colpa di organizzazione”, dimostrandosi che non sono stati predisposti accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato.

 

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