IL REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA SUSSISTE ANCHE SE LA CONVIVENZA E’ DURATA POCO

A parere di chi scrive la conclusione della Corte è certamente da condividere, posto che è ancora più grave il comportamento di colui che, ospite anche solo per una trentina di giorni, a casa di familiari, li abbia ridotti in situazione tale da temere per la propria vita.

La sentenza riportata tratta di un caso, invero molto frequente, ove l’uomo, poi denunciato, si era trasferito presso l’abitazione materna, nella quale già conviveva anche la sorella dello stesso, con il figlioletto di pochi mesi.

Ne era seguita una insostenibile situazione di vessazione di cui la madre e la figlia si dolevano, a causa delle offese e delle minacce che l’imputato rivolgeva, con cadenza quotidiana, alle medesime, le quali avevano il fondato timore per la propria incolumità fisica.

In effetti l’uomo aveva lasciato l’abitazione dopo poco più di un mese di convivenza.

Alla Corte è stato posto il quesito di diritto se una convivenza tanto breve potesse a configurare il presupposto del reato, dell’abitualità delle condotte, di cui all’art. 572 C.p. : “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni”.

La Corte, al quesito, ha dato risposta positiva, dovendosi affermare il principio secondo cui l’abitualità nel reato di maltrattamenti in famiglia può essere integrato anche nel caso in cui il compimento di più atti, delittuosi o meno, che determinino sofferenze fisiche o morali, vengano posti in essere in lasso temporale non necessariamente prolungato, a condizione che la protrazione della condotta sia comunque idonea dar luogo ad uno stato di vessazione e soggezione dei familiari conviventi vittima del reato (in tal senso Sez. 6, n. 25183 del 19/12/2012, Rv.253041; si veda anche Sez.3, n. 6724 del 22/11/2017, dep. 2018, Rv. 272452).

La durata complessiva dell’arco temporale entro il quale si manifestano le condotte maltrattanti è un dato tendenzialmente neutro ai fini della configurabilità del reato, salvo restando che, se la convivenza si è protratta per un periodo, limitato occorrerà che i maltrattamenti siano posti in essere in maniera continuativa e ravvicinata.

In definitiva, tanto più è ridotto il periodo della convivenza, tanto maggiore deve essere la ripetitività ed offensività delle condotte maltrattanti, affinchè si ritenga instaurato quel clima di abituale vessazione della persona offesa che costituisce l’elemento tipico del reato in esame.

Nel caso di specie, tale condizione deve ritenersi verificata, posto che – a prescindere dall’episodio in cui l’imputato ha cagionato lesioni personali alla sorella – le condotte maltrattanti avvenivano con una frequenza, sostanzialmente quotidiana, il che le rende idonee ad integrare il reato di cui all’art. 572 c.p. nonostante la breve durata della convivenza.

Quindi la sezione sesta della Cassazione con Sentenza n. 21087 del 10/05/2022 Ud. (dep. 31/05/2022) Rv. 283271,  Presidente DI STEFANO PIERLUIGI, estensore DI GERONIMO PAOLO, ha risposto al quesito con la seguente massima: In tema di maltrattamenti in famiglia, l’estensione dell’arco temporale entro il quale si manifestano le condotte a maltrattanti è un dato tendenzialmente neutro ai fini della configurabilità del reato, fermo restando che, se la convivenza si è protratta per un periodo limitato, è necessario che le condotte vessatorie siano state poste in essere in maniera continuativa o con cadenza ravvicinata.(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il reato in relazione a condotte prevaricatrici attuate, in circa un mese di convivenza, con cadenza quasi quotidiana).

Riferimenti normativi: Cod. Pen. art. 572     

Massime precedenti Vedi: N. 25183 del 2012 Rv. 253041; N. 6724 del 2018 Rv. 272452

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