Si trattava di un caso in cui la persona offesa era stata ripetutamente minacciata dall’ex fidanzato, il reato di atti persecutori era stato commesso anche con l’aver mostrato in qualche occasione una pistola, l’aver tentato di speronare la vettura a bordo della quale la predetta viaggiava, l’essersi presentato ad un incontro munito di un coltello.
La persona offesa, nel corso del giudizio di merito, aveva ritrattato quasi del tutto le sue dichiarazioni e aveva affermato di non essersi mai sentita minacciata dall’imputato, che non aveva mai smesso di frequentare nel periodo in cui sono contestate le condotte di atti persecutori, con evidente insussistenza del reato, rispetto al quale risulta anche intervenuta remissione di querela. Di conseguenza l’imputato si difendeva, anche in Cassazione, ritenendo che non fosse configurabile la minaccia grave che rende procedibile d’ufficio il reato, quindi irrevocabile la querela. A suo parere non sussistevano le minacce gravi e reiterate: la pistola utilizzata in un caso, come affermato dalla persona offesa, era una semplice scacciacani, l’uso del coltello, in un altro caso, era stato giustificato dall’ intervento del padre della persona offesa, che si era armato di un crick, avendo, peraltro, la persona offesa specificato che l’imputato non rappresentava un pericolo.
La Corte di Cassazione (Cass. pen., Sez. V, Sent., (data ud. 01/02/2023) 27/03/2023, n. 12757) dichiarava, al contrario, che le minacce poste in essere dall’imputato risultavano, senza alcun dubbio, non solo reiterate ma anche gravi: la sentenza impugnata ha ricordato, tra le altre condotte, l’aver mostrato alla B.B., una pistola, l’aver tentato di speronare la vettura a bordo della quale la predetta viaggiava, il presentarsi ad un incontro munito di un coltello; da ciò emerge, evidente, come la querela sia irrevocabile, ai sensi dell’art. 612-bis c.p., comma 4. Seppure la pistola utilizzata fosse stata una scacciacani – circostanza non emersa dalla motivazione della sentenza -, nondimeno deve darsi continuità all’indirizzo ermeneutico secondo il quale qualsiasi oggetto che abbia all’apparenza le caratteristiche intrinseche di un’arma può provocare nel soggetto passivo un effetto intimidatorio più intenso (Sez. 5, n. 6608 del 16/05/1973, Molfino, Rv. 125102); quanto all’episodio dello speronamento con l’auto, la difesa non si confronta affatto con la motivazione della sentenza, così come l’episodio dell’uso del coltello viene semplicemente rivisitato dalla difesa, con argomentazione del tutto alternativa alla ricostruzione offerta in sentenza.
Doveva, quindi, darsi per irretrattabile la querela sporta a suo tempo, da qui è stata enucleata la seguente massima: In tema di atti persecutori, ricorre l’aggravante dell’uso di arma anche nel caso di una pistola scacciacani, in quanto qualsiasi oggetto che abbia, all’apparenza, le caratteristiche intrinseche di un’arma può provocare nel soggetto passivo un effetto intimidatorio più intenso. (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO LECCE, 26/01/2022).
Questo principio è coerente con altre massime riguardanti reati diversi:
Cass. pen., Sez. II, Sentenza, 22/06/2021, n. 39253 (rv. 282203-01) In tema di rapina, ai fini della sussistenza della circostanza aggravante dell’uso delle armi è sufficiente il ricorso ad un’arma giocattolo qualora questa non sia immediatamente riconoscibile come tale a causa della mancanza dei segni dell’arma da gioco (tappo rosso e similari) o dell’assenza di visibilità o riconoscibilità di tali segni da parte della vittima. (Nella specie, la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto la sussistenza dell’aggravante poiché la rapina era stata consumata al buio). (Rigetta, CORTE APPELLO BOLOGNA, 25/06/2020).
Cass. pen., Sez. V, 11/06/2007, n. 31473 (rv. 237577). L’efficacia intimidatoria di una pistola scacciacani – sia per la somiglianza con una vera arma da fuoco, sia per l’effetto sonoro prodotto – è tale da configurare, in ipotesi di violenza privata commessa con la minaccia della scacciacani, l’aggravante dell’uso dell’arma.
Cass. pen., Sez. V, 11/03/2003, n. 16647 (rv. 224796). L’uso o porto fuori della propria abitazione di un’arma sprovvista del tappo rosso o con il tappo rosso reso non visibile non è previsto dalla legge come reato, ma assume rilevanza penale solo se mediante esso si realizzi un diverso reato del quale l’uso o il porto di un’arma rappresenti elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato diverso. Sussiste pertanto l’aggravante della minaccia con uso di arma ove la minaccia sia compiuta con un’arma giocattolo il cui pur esistente tappo rosso sia occultato, anche solo temporaneamente, in modo da non renderlo “visibile” alla persona offesa. (In motivazione, la Corte ha osservato che la visibilità, e non l’esistenza del tappo, ad escludere la configurabilità dell’aggravante, per la quale rileva solo l’apparenza estrinseca dell’arma).
Cass. pen., Sez. II, Sentenza, 17/11/2017, n. 4712 (rv. 272012) Ai fini della sussistenza della circostanza aggravante dell’uso delle armi nel delitto di rapina occorre, qualora la minaccia sia realizzata utilizzando un’arma giocattolo, che questa non sia riconoscibile come tale. (Nella specie, la Corte ha escluso la sussistenza dell’aggravante in quanto dalle deposizioni testimoniali era risultato che l’arma era munita di tappo rosso alla canna). (Annulla in parte con rinvio, App. Catanzaro, 01/12/2016).
D’altronde non è nemmeno pensabile che una persona normale, che si vede minacciata da un’arma, abbia cognizioni tali da sapere che se la pistola con la quale viene minacciata, ha il tappo rosso, possa o no causare comunque danno alla vita.
La Corte di Cassazione, quindi, nel 2023 richiama addirittura un precedente del 1973, valorizzando l’effetto intimidatorio della minaccia di una qualunque arma anche finta, in quanto fortemente allusivo al nocumento del bene della vita propria, o di congiunti.