A volte la vittima del reato di atti persecutori si riavvicina alla persona che teme, ma questo non significa che la stessa non provi disagio nella relazione, e che non ne sia succube.
Il riavvicinamento della vittima al suo persecutore, temporaneo ed episodico non interrompe l’abitualità del reato, nè inficia la continuità delle condotte, quando sussista l’oggettiva e complessiva idoneità delle stesse a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dall’art. 612-bis c.p. (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 17240 del 20/01/2020, I., Rv. 279111; Sez. 5, Sentenza n. 46165 del 26/09/2019, M., Rv. 277321).
Cass. pen., Sez. V, Sent., (data ud. 03/05/2023) 14/06/2023, n. 25791
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente –
Dott. MASINI Tiziano – Consigliere –
Dott. PISTORELLI Luca – rel. Consigliere –
Dott. MOROSINI M. Elisabetta – Consigliere –
Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 07/07/2022 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA PISTORELLI;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale;
Dott. Perla Lori, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni del difensore della parte civile avv. Benedetti Rossella, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Roma ha confermato la condanna di A.A. per il reato di atti persecutori aggravati commesso ai danni di B.B., con la quale aveva intrattenuto una relazione affettiva.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato deducendo vizi di motivazione. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha in maniera apodittica attribuito a meri difetti di memoria dovuti al tempo trascorso dai fatti le plurime contraddizioni ed imprecisioni in cui è incorsa la persona offesa nel corso della sua deposizione, omettendo sostanzialmente di confutare i rilievi svolti in proposito con il gravame di merito e di considerare le risultanze processuali che smentiscono il racconto della B.B. ovvero si rivelano incompatibili con lo stesso, dimostrandone l’inattendibilità. In tal senso il ricorso sottolinea in particolare come sia tutt’altro che irrilevante ai fini dell’accertamento dell’incidenza causale sulla produzione dell’evento del reato delle condotte asseritamente realizzate in costanza della relazione con l’imputato l’imprecisione evidenziata dalla persona offesa nell’indicare il momento in cui questa avrebbe avuto termine, come, ad esempio, quella concretizzatasi nella contestata minaccia a mano armata. Con riguardo agli episodi relativi agli incontri con l’imputato avvenuti al ristorante, a Sabaudia ed a Ponza, le dichiarazioni della vittima avrebbero poi trovato precisa smentita, rispettivamente, in quelle dei testi C.C., D.D. e E.E., mentre con riguardo a quello avvenuto in banca la Corte non avrebbe considerato come sia stata la stessa persona offesa ad ammettere la sua occasionalità. Quanto infine all’episodio al quale la stessa persona offesa ha connesso la produzione dell’evento del reato – l’invio presso l’abitazione dove si era trasferita di un mazzo di fiori – i giudici del merito avrebbero omesso di considerare i messaggi inviati dalla stessa all’imputato nel frangente, idonei a dimostrare come debba ritenersi inverosimile che ella non avesse comunicato al A.A., il proprio nuovo indirizzo. Infine il ricorrente eccepisce come l’ultimo atto della campagna persecutoria accertato risalga al (Omissis), dovendosi dunque far risalire a tale data il momento di consumazione del reato, contrariamente a quanto indicato nell’imputazione. Conseguentemente dovrebbe ritenersi oramai compiuto il termine di prescrizione dello stesso reato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Anzitutto è opportuno ricordare che, con il ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo. Sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. In tal senso va quindi ribadito che il controllo di legittimità concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicchè il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo del giudice di legittimità (ex multis Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
3. Alla luce di tali consolidati principi appare in tutta la sua evidenza l’inammissibilità delle doglianze del ricorrente, tese a sollecitare il giudice di legittimità ad una nuova valutazione del compendio probatorio e, quindi, dell’attendibilità della persona offesa. Ed in tal senso il ricorso, in larga parte, appare instaurare proprio quel diretto dialogo con le risultanze processuali che, come detto, non è consentito in questa sede, proponendo alternative letture del significato probatorio delle medesime e pretermettendo l’effettivo confronto con la motivazione della sentenza impugnata ovvero limitandosi all’assertiva contestazione del discorso giustificativo articolato dalla Corte di merito, senza essere in grado di individuarne tratti di effettiva manifesta illogicità.
3.1 In particolare, meramente assertiva è la contestazione della motivata svalutazione operata dal giudice dell’appello delle eccepita imprecisione della persona offesa nella ricostruzione del momento in cui si sarebbe conclusa la relazione con l’imputato, tanto più che il ricorrente non precisa la reale decisività della circostanza e trascura il costante insegnamento di questa Corte per cui il temporaneo ed episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore non interrompe l’abitualità del reato, nè inficia la continuità delle condotte, quando sussista l’oggettiva e complessiva idoneità delle stesse a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dall’art. 612-bis c.p. (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 17240 del 20/01/2020, I., Rv. 279111; Sez. 5, Sentenza n. 46165 del 26/09/2019, M., Rv. 277321).
Manifestamente infondata è poi l’obiezione per cui dalle dichiarazioni della vittima emergerebbe la sostanziale irrilevanza dei comportamenti tenuti dall’imputato prima del gennaio 2015. Nel delitto previsto dall’art. 612-bis c.p., che ha natura abituale, l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice (Sez. 5, Sentenza n. 51718 del 05/11/2014, T., Rv. 262636). E’ dunque lo stillicidio persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l’appunto alla campagna persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell’evento richiesto per la sussistenza del reato. In tale ottica il fatto che tale evento si sia in ipotesi manifestato solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio – magari più eclatante dei precedenti anche solo nella percezione della vittima, come avvenuto nel caso di specie – è non solo non discriminante, ma addirittura connaturato al fenomeno criminologico alla cui repressione la norma incriminatrice è dedicata, giacchè alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano, fino a che tale disagio degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi nelle forme descritte nell’art. 612-bis citato.
3.2 Per quanto riguarda i diversi episodi evocati nel ricorso quelle formulate sono mere censure in fatto, che non riescono ad evidenziare effettivi travisamenti del significante delle dichiarazioni assunte nel dibattimento, ma si traducono nella mera interpretazione soggettivamente orientata del significato probatorio delle medesime. Per quanto riguarda invece l’enfatizzato contrasto tra il narrato della persona offesa e quello del teste C.C., il ricorso omette di dimostrarne la decisività, posto che quest’ultimo ha sostanzialmente confermato l’episodio nel suo nucleo essenziale e la molesta insistenza dell’imputato nel voler interloquire con la vittima.
In definitiva, le diverse osservazioni del ricorrente non scalfiscono l’impostazione della motivazione e non fanno emergere profili di manifesta illogicità della stessa, finendo per risolversi in prospettazioni di diverse interpretazioni del materiale probatorio non proponibili, come detto, in questa sede.
Non di meno il ricorso si rivela ulteriormente generico nella misura in cui non ha confutato lo sviluppo argomentativo della sentenza impugnata nel suo complesso, posto che la Corte non ha fatto esclusivo riferimento agli episodi oggetto delle attenzioni difensive, ma altresì all’intero racconto della persona offesa ed a quello di alcuni testi (come i genitori dell’B.B. ovvero F.F., G.G. e H.H.) ed alle circostanze da questi narrate.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila alla Cassa delle Ammende, nonchè alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che si liquidano in complessivi Euro 2.457, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna inoltre l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.457, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2023