Dalle righe composte della sentenza in commento emerge con forza gridata un concetto sociale di libertà sessuale assoluto, che valuta la donna come soggetto di diritto libero di intraprendere o stoppare attività sessuali, il cui consenso non può essere mai supposto o desunto da precedenti comportamenti anche provocatori. La sentenza in commento afferma che la libertà sessuale della donna non è minimamente oscurata dal fatto che, prima dell’atto, ella abbia deliberatamente provocato gli imputati anche ballando in abiti succinti: “La giustificazione di una violenza sessuale in base a comportamenti provocatori posti in essere dalla vittima prima di essere violentata non ha diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento e deve essere ripudiata in tutta la sua portata lesiva della dignità della persona e della sua libertà sessuale”.
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Siamo ad anni e anni di distanza da quella giurisprudenza rappresentata dalla sentenza Cass. pen., Sez. III, 06/11/1998, n. 1636 che annullò con rinvio la sentenza di merito che aveva condannato l’imputato perché la donna aveva i jeans e non le potevano essere stati tolti, in tutti o in parte senza il suo consenso: “In tema di violenza sessuale, è illogico affermare che una ragazza possa subire supinamente uno stupro, che è una grave violenza alla persona, nel timore di patire altre ipotetiche e non certo più gravi offese alla propria incolumità fisica. (Fattispecie nella quale la Corte di cassazione ha ritenuto potersi dedurre presunzione di consenso al rapporto sessuale dalla circostanza che la vittima, al momento dell’amplesso, vestiva pantaloni tipo “jeans”, costituendo dato di comune esperienza l’impossibilità di sfilarli senza la fattiva collaborazione di chi li indossa)”.
Quella sentenza fa ancora rabbrividire, la si riporta integralmente per chiarezza:
In data 12.7.92
Il
Motivi della decisione. Ritiene la Corte che la sentenza impugnata merita l’annullamento benché carente di adeguato e convincente apparato argomentativo. É certo che a carico dell’imputato sussistono le reiterate accuse formulate dalla
Dott. TRIDICO Gennaro Salvatore Presidente
Dott. SAVIGNANO Giuseppe Consigliere
” RIZZO Aldo ”
” QUITADAMO Nicola ”
” FIALE Aldo ”
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Scrivendo queste righe mi chiedo, anche a distanza di anni, chi era quella ragazza stuprata dal suo insegnate di guida e come ha vissuto la decisione della Corte di Cassazione nei suoi riguardi.
Non oso immaginare quella straziante sofferenza, per non essere stata creduta, sua e delle persone a lei care, che l’avevano sostenuta.
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TORNIAMO A NOI ALLA SENTENZA 7873 DEL 04/03/2022 DELLA TERZA SEZIONE PENALE DELLA CASSAZIONE FORMATA DA:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente –
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere –
Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. GAI Emanuele – Consigliere –
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
La sentenza tratta di un caso in cui gli imputati erano stati condannati a nove anni di reclusione ciascuno, dal Tribunale di Milano, a seguito di rito dibattimentale, per il reato di cui all’art. 609-octies c.p. (Violenza sessuale di gruppo), commesso, insieme con altre persone, ai danni della sig.ra K.M..
Il capo di imputazione integrale era il seguente: “perché partecipavano in più persone riunite ad atti di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. nei confronti di K.M., nata a (OMISSIS), abusando delle condizioni di inferiorità psichica e fisica della persona offesa che aveva ingerito sostanze alcoliche, con modalità insidiose e fraudolente, consistite nell’offrirle da bere al punto da renderla incosciente ed incapace ad opporsi, nel portarla nel guardaroba del locale (OMISSIS), nel consumare molteplici rapporti sessuali contemporaneamente e consecutivamente con la vittima: in particolare l’ indagato D.S. costringeva la persona offesa a subire un rapporto sessuale vaginale completo, mentre nello stesso tempo D.S.A. consumava con la medesima persona offesa un rapporto orale, per scambiarsi poi le posizioni nel corso del rapporto e con gli altri correi; atti sessuali avvenuti in presenza degli altri indagati F.R., C.G.F., G.D.S.R. e F.D.S.C. che, dopo avere assistito a quanto stava avvenendo, abusavano analogamente della persona offesa, costretta a rapporti orali e vaginali nei loro confronti, durante i quali gli altri soggetti, che partecipavano in quel momento attivamente all’atto sessuale – tra cui F.R. -si masturbavano. Fatto commesso in (OMISSIS)”.
Circostanza palesemente accertata nel processo era che la donna che ballava con il gruppo dei brasiliani in orario prossimo al verificarsi dei fatti. Altre circostanze rilevanti di fatto erano che lo stesso D.S. avesse ammesso di aver avuto un rapporto orale con la K (sia pure consenziente); il rinvenimento di tracce biologiche del F., oltre a quelle di altre persone, sul vestito della persona offesa; la persona offesa si trovava in uno stato di inferiorità fisica e psichica dovuto all’assunzione di alcool, e che questa condizione di incoscienza fosse tale da rendere impossibile per la K. manifestare un valido consenso al compimento degli atti sessuali.
Le condizioni di assoluta incoscienza della vittima avevano reso altamente possibile, secondo la Corte, il realizzarsi degli accadimenti nel periodo di tempo intercorso tra l’allontanamento delle amiche e il primo messaggio inviato dalla K. alla M.. Lo stato di totale incoscienza della vittima risulta provato, afferma la sentenza impugnata, dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa (la quale aveva riferito di aver avuto una sorta di blackout, dal quale si era ripresa solo a rapporti sessuali in atto, dovuto all’assunzione di un ingente quantitativo di sostanze alcoliche, peraltro a stomaco vuoto, che l’ha, infatti, portata a sentirsi poco bene qualche momento dopo l’allontanamento delle amiche, o perché la stessa ha bevuto parte dei suddetti alcolici dopo il loro allontanamento, o perché, cosa ben possibile, è da quel momento che essi hanno raggiunto il loro massimo effetto).
Secondo la Corte d’Appello, la genuinità di tale racconto non può essere posta in discussione. Le dichiarazioni della vittima hanno, infatti, trovato riscontro:
1) nelle condizioni e nel comportamento della stessa dopo i fatti, anche alla luce di quanto riportato dagli altri testi, da cui risulta che il racconto della K. è sempre stato lo stesso sin dall’inizio: alle amiche, nell’ immediatezza del fatto, all’amico L., dopo qualche tempo, in sede di denuncia ed, infine, di deposizione dibattimentale (dopo l’accaduto, la K. aveva sì lasciato il locale, ma sorretta dall’ imputato F., evidentemente non riuscendo a camminare da sola; aveva mandato un messaggio all’amica M. senza, però, inizialmente riuscire a digitarlo per intero; quando era stata raggiunta dalla M.. la K. non era tranquilla, né cosciente, trovandosi in condizioni tali da non lasciar presumere che i precedenti rapporti sessuali fossero stati consenzienti; aveva sin da subito confidato all’amica che più persone avevano abusato di lei e “chiesto” al F. – stante il rapporto di amicizia che la legava a lui – perché avesse permesso che accadesse);
2) nel contenuto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, nelle quali si fa più volte menzione dello stato di totale incoscienza in cui si trovava la vittima quella notte (così confermando che gli imputati ne fossero ben consapevoli) e dalle quali emerge, in un primo momento – quando ancora parlano “liberamente” del fatto che la K. fosse ubriaca, o del non averla toccata o, ancora, della mancanza di prove “essendo soltanto la sua parola contro la loro” – che gli imputati intendevano accordarsi sulla versione da rendere alla polizia giudiziaria ed invece, una volta intervenuta la denuncia della K. – comparendo, nelle conversazioni, il riferimento ad un presunto consenso della ragazza in palese contrasto con le precedenti – addirittura sulla versione da rendere per contrastare detta denuncia, dunque con chiaro intento difensivo.
L’assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti quando è tale da privare del tutto la persona della capacità di intendere e di volere ponendola in una situazione di palese incapacità di esprimere un consenso, esclude la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 609-bis c.p., comma 2, dovendosi piuttosto ritenere integrata la violenza di cui al comma 1 del medesimo articolo.
La circostanza che prima del fatto la persona offesa avesse provocato sessualmente gli imputati toccandoli nelle parti intime mentre ballavano non ha alcuna rilevanza, non giustificando tale condotta, alla luce di quanto detto, la presunzione del consenso agli atti sessuali posti in essere successivamente. La giustificazione di una violenza sessuale in base a comportamenti provocatori posti in essere dalla vittima prima di essere violentata non ha diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento e deve essere ripudiata in tutta la sua portata lesiva della dignità della persona e della sua libertà sessuale.
Il momento che deve essere preso in considerazione, ai fini del reato di violenza sessuale, è quello, oggettivo, del compimento dell’atto sessuale, l’unico in relazione al quale va verificata la sussistenza del consenso all’atto stesso, non rilevando, nemmeno sul piano causale, il comportamento “provocatorio” antecedente della vittima nemmeno se, nella mente del reo, esso opera come personalissima convinzione della liceità del proprio agire. Nei confronti di persona totalmente incosciente ed incapace persino di esprimersi e di reagire il consenso all’atto non può essere “recuperato” valorizzando comportamenti precedenti e costituendo l’autore della violenza quale interprete autentico della volontà della sua vittima
Cassazione penale Sezione terza data ud. 19/01/2022 deposito 04/03/2022, n. 7873 – Presidente Dott. RAMACCI Luca – Consigliere Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere Dott. ACETO Aldo
In tema di violenza sessuale, la sussistenza del consenso all’atto deve essere verificata in relazione al momento del compimento dell’atto stesso, sicché è irrilevante l’antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa.