NELLA VIOLENZA SESSUALE E’ IRRILEVANTE L’ANTECEDENTE CONDOTTA PROVOCATORIA

Dalle righe composte della sentenza in commento emerge con forza gridata un concetto sociale di libertà sessuale assoluto, che valuta la donna come soggetto di diritto libero di intraprendere o stoppare attività sessuali, il cui consenso non può essere mai supposto o desunto da precedenti comportamenti anche provocatori. La sentenza in commento afferma che la libertà sessuale della donna non è minimamente oscurata dal fatto che, prima dell’atto, ella abbia deliberatamente provocato gli imputati anche ballando in abiti succinti: “La giustificazione di una violenza sessuale in base a comportamenti provocatori posti in essere dalla vittima prima di essere violentata non ha diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento e deve essere ripudiata in tutta la sua portata lesiva della dignità della persona e della sua libertà sessuale”.

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Siamo ad anni e anni di distanza da quella giurisprudenza rappresentata dalla sentenza Cass. pen., Sez. III, 06/11/1998, n. 1636 che annullò con rinvio la sentenza di merito che aveva condannato l’imputato perché la donna aveva i jeans e non le potevano essere stati tolti, in tutti o in parte senza il suo consenso: “In tema di violenza sessuale, è illogico affermare che una ragazza possa subire supinamente uno stupro, che è una grave violenza alla persona, nel timore di patire altre ipotetiche e non certo più gravi offese alla propria incolumità fisica. (Fattispecie nella quale la Corte di cassazione ha ritenuto potersi dedurre presunzione di consenso al rapporto sessuale dalla circostanza che la vittima, al momento dell’amplesso, vestiva pantaloni tipo “jeans”, costituendo dato di comune esperienza l’impossibilità di sfilarli senza la fattiva collaborazione di chi li indossa)”.

Quella sentenza fa ancora rabbrividire, la si riporta integralmente per chiarezza:

In data 12.7.92 , allora diciottenne, denunciava alla Questura di Potenza che il giorno precedente, verso le ore 12,30, era stata vittima di una violenza carnale consumata in suo danno da , suo istruttore di guida. Costui, come aveva fatto altre volte, l’aveva prelevata presso la sua abitazione, per effettuare la lezione di guida pratica. Senonché, con la scusa di dover prelevare altra ragazza pure interessata alle lezioni di guida, l’aveva condotta fuori dal centro abitato e, fermata l’autovettura in una stradella interpoderale, l’aveva gettata a terra e, dopo averle sfilato da una gamba i jeans che indossava, l’aveva violentata. Consumato l’amplesso, l’aveva condotta a casa imponendole con minaccia di non rivelare ad altri l’accaduto. I genitori, vedendola turbata, le avevano chiesto spiegazioni ma aveva preferito non raccontare quanto le era accaduto. Lo stesso giorno, dato il suo rientro a casa dalla lezione di teoria presso l’autoscuola, aveva informato i genitori della violenza subita.
Il , sottoposto a fermo lo stesso giorno della denuncia, dava una diversa versione dei fatti. Ammetteva di aver avuto il rapporto sessuale con la , nelle circostanze di tempo e di luogo da questa riferite, ma precisava che la ragazza era stata consenziente. Iniziatosi procedimento penale a carico del per i reati di violenza carnale, violenza privata, ratto a fine di libidine, lesioni personali, atti osceni in luogo pubblico e violenza privata, il tribunale di Potenza, con sentenza del 29.2.96, condannava l’imputato per il reato di atti osceni in luogo pubblico, mentre lo proscioglieva dai rimanenti reati. A seguito di appello del PM e dell’imputato, la Corte di Appello di Potenza, con sentenza del 19.3.98, dichiarava il responsabile di tutti i reati a lui contestati e lo condannava alla pena di anni 2 e mesi 10 di reclusione. Contro tale sentenza il ha proposto ricorso per cassazione ed ha dedotto il vizio di motivazione sostenendo che la Corte di Appello aveva affermato la di lui responsabilità con argomentazioni non coerenti con le risultanze processuali.
Motivi della decisione. Ritiene la Corte che la sentenza impugnata merita l’annullamento benché carente di adeguato e convincente apparato argomentativo. É certo che a carico dell’imputato sussistono le reiterate accuse formulate dalla . Ma, considerate le proteste di innocenza dell’imputato, il quale ha mantenuto che la ragazza era stata consenziente al rapporto sessuale, la Corte di merito avrebbe dovuto procedere ad una rigorosa analisi in ordine alla attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla , mentre invece ha affermato la colpevolezza dell’ imputato valorizzando circostanze di fatto che ben si conciliano con la versione dei fatti rappresentata dal e minimizzando o omettendo di valutare altre circostanze che mal si conciliano con la denunciata violenza carnale. La sentenza afferma che le dichiarazioni rese dalla sono da ritenere attendibili poiché costei non aveva motivo alcuno per muovere contro il una accusa calunniosa. Una tale considerazione non può condividersi sol che si consideri che la ragazza potrebbe avere accusato falsamente il di averla violentata, per giustificare con i genitori l’amplesso carnale avuto con una persona molto più grande di lei per età e per di più sposata, amplesso che non si sentiva di tener celato perché preoccupata delle possibili conseguenze del rapporto carnale. La sentenza afferma che le dichiarazioni rese dalla sono da ritenere attendibili poiché costei non aveva motivo alcuno per muovere contro il una accusa calunniosa. Una tale considerazione non può condividersi sol che si consideri che la ragazza potrebbe avere accusato falsamente il di averla violentata, per giustificare con i genitori l’amplesso carnale avuto con una persona molto più grande di lei per età e per di più sposata, amplesso che non si sentiva di tener celato perché preoccupata delle possibili conseguenze del rapporto carnale. Peraltro, una tale ipotesi non appare inverosimile alla luce del comportamento tenuto dalla dopo i fatti. Costei raccontò ai genitori quanto le era accaduto non già appena tornò a casa, sebbene i predetti le chiedessero cosa le era successo in quanto era visibilmente turbata, ma soltanto la sera, dopo aver assistito presso l’autoscuola alla lezione di teoria. La Corte di Appello giustifica un tale ritardo sostenendo che la presumibilmente provava vergogna o si sentiva in colpa. Ma una tale argomentazione non è convincente. Non si vede infatti quale vergogna o senso di colpa la potesse avvertire, se effettivamente vittima di una violenza carnale, data la gravità di un tale fatto, peraltro commesso dal suo istruttore di guida, sulla cui autovettura si era trovata per effettuare la programmata esercitazione di guida. Parimenti censurabile è la sentenza allorché afferma che la fu realmente vittima della denunciata violenza carnale dato che è certo che durante l’amplesso aveva i jeans tolti soltanto in parte, mentre se fosse stata consenziente al rapporto carnale avrebbe tolto del tutto i pantaloni che indossava. Un tale rilievo non può condividersi perché sarebbe stato ormai singolare che in pieno giorno (il fatto avvenne verso le ore 12-12,30), in una zona che seppur isolata non era preclusa al transito di persone, la si denudasse del tutto, ne perché era consenziente allo amplesso. Deve poi rilevarsi che è un dato di comune esperienza che è quasi impossibile sfilare anche in parte i jeans ad una persona senza la sua fattiva collaborazione, poiché trattasi di una operazione che è già assai difficoltosa per chi li indossa. Anche su altri punti la sentenza risulta carente di convincente motivazione. Sul corpo della e del non sono stati riscontrati segni di una colluttazione tra i due o comunque di una vigorosa resistenza della ragazza al suo aggressore. La Corte di Appello al riguardo si limita ad affermare che per la sussistenza del reato di violenza carnale non è necessario che l’autore del fatto sottoponga la persona offesa ad atti di violenza e che comunque, nel caso in esame, la non aveva opposto resistenza temendo di subire gravi offese della sua incolumità fisica. Ma al riguardo è da osservare che è istintivo, soprattutto per una giovane, opporsi con tutte le sue forze a che vuole violentarla e che è illogico affermare che una ragazza possa subire supinamente uno stupro, che è una grave violenza alla persona, nel timore di patire altre ipotetiche e non certo più gravi offese alla propria incolumità fisica. La sentenza impugnata, infine, non chiarisce come si concilia con l’asserita violenza carnale la circostanza che la non tentò di fuggire appena il fermò l’autovettura e manifestò i suoi propositi, così come non da una plausibile spiegazione del comportamento della ragazza che, dopo la consumazione del rapporto carnale, si mise alla guida della autovettura. In sentenza viene precisato che la aveva interesse a tornare subito a casa. Ma la Corte di Appello ha omesso di considerare che è ormai singolare che una ragazza, dopo aver subito una violenza carnale, si trovi nelle condizioni d’animo che le consentano di porsi alla guida di una autovettura con accanto il suo stupratore, sopratutto se, come nel caso in esame, essendo inesperta di guida, deve pilotare l’autovettura seguendo i consigli e le istruzioni di chi momenti prima l’ha violentata. Ne consegue che la sentenza impugnata risulta affetta da motivazione carente ed illogica e pertanto merita l’annullamento con rinvio alla Corte di Appello di Napoli, P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli. Roma 6 novembre 1998.

Dott. TRIDICO Gennaro Salvatore Presidente

Dott. SAVIGNANO Giuseppe Consigliere

” RIZZO Aldo ”

” QUITADAMO Nicola ”

” FIALE Aldo ”

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Scrivendo queste righe mi chiedo, anche a distanza di anni, chi era quella ragazza stuprata dal suo insegnate di guida e come ha vissuto la decisione della Corte di Cassazione nei suoi riguardi.

Non oso immaginare quella straziante sofferenza, per non essere stata creduta, sua e delle persone a lei care, che l’avevano sostenuta.

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TORNIAMO A NOI ALLA SENTENZA 7873 DEL 04/03/2022 DELLA TERZA SEZIONE PENALE DELLA CASSAZIONE FORMATA DA:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente –

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere –

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. GAI Emanuele – Consigliere –

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

La sentenza tratta di un caso in cui gli imputati erano stati condannati a nove anni di reclusione ciascuno, dal Tribunale di Milano, a seguito di rito dibattimentale, per il reato di cui all’art. 609-octies c.p. (Violenza sessuale di gruppo), commesso, insieme con altre persone, ai danni della sig.ra K.M..

Il capo di imputazione integrale era il seguente: “perché partecipavano in più persone riunite ad atti di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. nei confronti di K.M., nata a (OMISSIS), abusando delle condizioni di inferiorità psichica e fisica della persona offesa che aveva ingerito sostanze alcoliche, con modalità insidiose e fraudolente, consistite nell’offrirle da bere al punto da renderla incosciente ed incapace ad opporsi, nel portarla nel guardaroba del locale (OMISSIS), nel consumare molteplici rapporti sessuali contemporaneamente e consecutivamente con la vittima: in particolare l’ indagato D.S. costringeva la persona offesa a subire un rapporto sessuale vaginale completo, mentre nello stesso tempo D.S.A. consumava con la medesima persona offesa un rapporto orale, per scambiarsi poi le posizioni nel corso del rapporto e con gli altri correi; atti sessuali avvenuti in presenza degli altri indagati F.R., C.G.F., G.D.S.R. e F.D.S.C. che, dopo avere assistito a quanto stava avvenendo, abusavano analogamente della persona offesa, costretta a rapporti orali e vaginali nei loro confronti, durante i quali gli altri soggetti, che partecipavano in quel momento attivamente all’atto sessuale – tra cui F.R. -si masturbavano. Fatto commesso in (OMISSIS)”.

Circostanza palesemente accertata nel processo era che la donna che ballava con il gruppo dei brasiliani in orario prossimo al verificarsi dei fatti. Altre circostanze rilevanti di fatto erano che lo stesso D.S. avesse ammesso di aver avuto un rapporto orale con la K (sia pure consenziente); il rinvenimento di tracce biologiche del F., oltre a quelle di altre persone, sul vestito della persona offesa; la persona offesa si trovava in uno stato di inferiorità fisica e psichica dovuto all’assunzione di alcool, e che questa condizione di incoscienza fosse tale da rendere impossibile per la K. manifestare un valido consenso al compimento degli atti sessuali.

Le condizioni di assoluta incoscienza della vittima avevano reso altamente possibile, secondo la Corte, il realizzarsi degli accadimenti nel periodo di tempo intercorso tra l’allontanamento delle amiche e il primo messaggio inviato dalla K. alla M.. Lo stato di totale incoscienza della vittima risulta provato, afferma la sentenza impugnata, dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa (la quale aveva riferito di aver avuto una sorta di blackout, dal quale si era ripresa solo a rapporti sessuali in atto, dovuto all’assunzione di un ingente quantitativo di sostanze alcoliche, peraltro a stomaco vuoto, che l’ha, infatti, portata a sentirsi poco bene qualche momento dopo l’allontanamento delle amiche, o perché la stessa ha bevuto parte dei suddetti alcolici dopo il loro allontanamento, o perché, cosa ben possibile, è da quel momento che essi hanno raggiunto il loro massimo effetto).

Secondo la Corte d’Appello, la genuinità di tale racconto non può essere posta in discussione. Le dichiarazioni della vittima hanno, infatti, trovato riscontro:

1) nelle condizioni e nel comportamento della stessa dopo i fatti, anche alla luce di quanto riportato dagli altri testi, da cui risulta che il racconto della K. è sempre stato lo stesso sin dall’inizio: alle amiche, nell’ immediatezza del fatto, all’amico L., dopo qualche tempo, in sede di denuncia ed, infine, di deposizione dibattimentale (dopo l’accaduto, la K. aveva sì lasciato il locale, ma sorretta dall’ imputato F., evidentemente non riuscendo a camminare da sola; aveva mandato un messaggio all’amica M. senza, però, inizialmente riuscire a digitarlo per intero; quando era stata raggiunta dalla M.. la K. non era tranquilla, né cosciente, trovandosi in condizioni tali da non lasciar presumere che i precedenti rapporti sessuali fossero stati consenzienti; aveva sin da subito confidato all’amica che più persone avevano abusato di lei e “chiesto” al F. – stante il rapporto di amicizia che la legava a lui – perché avesse permesso che accadesse);

2) nel contenuto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, nelle quali si fa più volte menzione dello stato di totale incoscienza in cui si trovava la vittima quella notte (così confermando che gli imputati ne fossero ben consapevoli) e dalle quali emerge, in un primo momento – quando ancora parlano “liberamente” del fatto che la K. fosse ubriaca, o del non averla toccata o, ancora, della mancanza di prove “essendo soltanto la sua parola contro la loro” – che gli imputati intendevano accordarsi sulla versione da rendere alla polizia giudiziaria ed invece, una volta intervenuta la denuncia della K. – comparendo, nelle conversazioni, il riferimento ad un presunto consenso della ragazza in palese contrasto con le precedenti – addirittura sulla versione da rendere per contrastare detta denuncia, dunque con chiaro intento difensivo.

L’assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti quando è tale da privare del tutto la persona della capacità di intendere e di volere ponendola in una situazione di palese incapacità di esprimere un consenso, esclude la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 609-bis c.p., comma 2, dovendosi piuttosto ritenere integrata la violenza di cui al comma 1 del medesimo articolo.

La circostanza che prima del fatto la persona offesa avesse provocato sessualmente gli imputati toccandoli nelle parti intime mentre ballavano non ha alcuna rilevanza, non giustificando tale condotta, alla luce di quanto detto, la presunzione del consenso agli atti sessuali posti in essere successivamente. La giustificazione di una violenza sessuale in base a comportamenti provocatori posti in essere dalla vittima prima di essere violentata non ha diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento e deve essere ripudiata in tutta la sua portata lesiva della dignità della persona e della sua libertà sessuale.

Il momento che deve essere preso in considerazione, ai fini del reato di violenza sessuale, è quello, oggettivo, del compimento dell’atto sessuale, l’unico in relazione al quale va verificata la sussistenza del consenso all’atto stesso, non rilevando, nemmeno sul piano causale, il comportamento “provocatorio” antecedente della vittima nemmeno se, nella mente del reo, esso opera come personalissima convinzione della liceità del proprio agire. Nei confronti di persona totalmente incosciente ed incapace persino di esprimersi e di reagire il consenso all’atto non può essere “recuperato” valorizzando comportamenti precedenti e costituendo l’autore della violenza quale interprete autentico della volontà della sua vittima

 

Cassazione penale Sezione terza data ud. 19/01/2022 deposito 04/03/2022, n. 7873 – Presidente Dott. RAMACCI Luca – Consigliere Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere Dott. ACETO Aldo

In tema di violenza sessuale, la sussistenza del consenso all’atto deve essere verificata in relazione al momento del compimento dell’atto stesso, sicché è irrilevante l’antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa.

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