Le ipotesi di cui agli artt. 88 e 89 c.p. presuppongono l’accertamento di una infermità, di natura psichica o fisica, che incida sullo stato mentale dell’agente al punto di escludere o far “grandemente” scemare la sua capacità di intendere e volere. Il termine “infermità” descrive un elemento normativo delle fattispecie configurate dalle due disposizioni citate che rinvia ad una realtà valutativa dettata da una norma extra-giuridica, il cui contenuto, per la stessa natura del suo oggetto, non può prescindere dall’acquisizione di saperi scientifici che non competono al giudice. L’apporto specialistico finalizzato all’accertamento del requisito normativo, tuttavia, non necessariamente deve essere veicolato attraverso la disposizione di una perizia, ben potendo il giudice affidarsi anche a contributi tecnici, comunque, idonei a rivelare nei termini indicati l’esistenza e la consistenza dell’affezione.
La Corte di Cassazione Sezione Quinta con la sentenza n. 35044/2021 del 21/09/21, annullando la sentenza della Corte d’appello, ha ritenuto che il giudice dovesse valutare l’interferenza del disturbo che affligge l’imputato e la sua capacità di liberamente determinarsi in maniera piena e incondizionata al momento della consumazione del reato. Non è sufficiente il mero accertamento dell’infermità, è necessario l’apprezzamento della sua incidenza sulla capacità di intendere e volere dell’agente al momento della commissione del reato, ossia dalla sua ripercussione sullo stato mentale del medesimo nell’attualità della realizzazione della condotta illecita, evidenziando così il necessario nesso eziologico tra la prima e quest’ultima. In altri termini ciò che gli artt. 88 e 89 c.p. impongono di accertare è se il rimprovero possa esser mosso per quello specifico fatto, se, quindi, questo trovi, in effetti, la sua genesi la sua motivazione nel disturbo mentale (anche per la sua, eventuale, possibile incidenza solo “settoriale”), che in tal guisa assurge ad elemento condizionante della condotta. Tale giudizio, secondo il costante insegnamento di questa Corte (ex multis Sez. U., Sentenza n. 9163 del 25/01/2005, Raso, in motivazione), compete esclusivamente al giudice, il quale certamente deve dialogare nella sua valutazione sulla capacità di autodeterminazione dell’autore del reato con il patrimonio di conoscenze tecnico-scientifiche eventualmente assunte al fine dell’accertamento dell’infermità da cui lo stesso risulti affetto, ma che deve avvalersi altresì di ogni altro elemento di valutazione e di giudizio desumibile dalle acquisizioni processuali.